Il 20 ottobre, gran parte delle testate nazionali titolava “Coronavirus, Conte chiede aiuto a Chiara Ferragni e Fedez”. La sera del 19 ottobre sui social Fedez, nome d’arte di Federico Lucia, pubblicava delle stories in cui esortava i suoi follower all’utilizzo della mascherina e raccontava l’inattesa telefonata ricevuta da Palazzo Chigi, che chiedeva appunto un aiuto. Qualche giorno dopo anche la moglie, l’imprenditrice digitale Chiara Ferragni, faceva lo stesso, esortando il suo bacino di oltre 21 milioni di persone a portare il più possibile la mascherina.
La potenza social dei Ferragnez: tra critiche e raccolte fondi da 4 milioni di euro
La vicenda, come detto, è stata raccontata da tutte le testate nazionali, tra stupore e critiche: tanti si sono domandati come mai il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte chiedesse l’aiuto ad un rapper e ad una influencer per mandare un messaggio tanto importante. C’è da fare un passo indietro in tutta questa vicenda. La coppia, infatti, è stata la prima ad attivarsi per fare qualcosa: a marzo, aveva donato 100mila euro all’Ospedale San Raffaele di Milano, e aveva lanciato una raccolta fondi sul sito GoFundMe, promuovendola sui loro account Instagram. Nel giro di poche settimane, il crowfunding ha raccolto oltre 4 milioni di euro, con donazioni arrivate da circa 100 Paesi in tutto il mondo. Risultato? La campagna lanciata dai Ferragnez è stata la più grande raccolta fondi europea ed il sesto crowfunding dal 2010 sulla piattaforma, ultimo, ma non per importanza, il traguardo raggiunto: in tempi record è stato costruito un reparto di terapia intensiva con oltre 60 nuovi posti letto.
“Mi fido di te”: la relazione fiduciaria tra generazione Z e gli opinion leader ai tempi dei social media
Quanto accaduto la dice lunga sulla potenza social della coppia e svela perché il Premier, consapevole dell’importanza dei nuovi media nella comunicazione, soprattutto tra i giovani, ha chiesto la collaborazione di Chiara Ferragni e Fedez. Bisogna fare i conti con la realtà: alcuni influencers sono diventati a tutti gli effetti degli opinion leaders, come testimonia lo studio “Mi fido di te”. La ricerca, nata nell’ambito di “Opinion Leader 4 Future”, progetto avviato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore attraverso Almed (Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo) in collaborazione con Credem Banca, è finalizzata a studiare la rilevanza e il ruolo dei nuovi opinion leaders nel panorama comunicativo e informativo. La ricerca quali-quantitativa è stata condotta nell’agosto 2020 da Tips Ricerche, agenzia specializzata in indagini di mercato su target giovanile. Il campione d’indagine dello studio era composto da 230 ragazzi e ragazze tra i 10 e i 25 anni.
“Mi Fido di Te”, Gen Z: chi sono e di chi si fidano?
L’obiettivo della ricerca era quello di comprendere le logiche di costruzione degli opinion leaders preso la Generazione Z, ovvero i nati tra il 1995 e il 2010, analizzando il loro rapporto con l’online, l’offline, le fonti di informazione e le caratteristiche ricercate in un leader d’opinione. Le metodologie utilizzate riguardavano 230 soggetti coinvolti in interviste CAWI (Computer Assisted Web Interviewing), focus groups e panel continuativo. Dallo studio è emerso che la gen Z ha bisogno di affidarsi a figure competenti e carismatiche che però devono essere ‘vicine’. Questo bisogno è stato accentuato durante i mesi di lockdown, in cui è cresciuta la rilevanza di soggetti considerati in grado di delineare linee comportamentali, capaci di porsi in maniera autorevole, ma senza tralasciare l’aspetto della vicinanza e del contesto. La gen Z è figlia della crisi economica iniziata nel 2008 e proprio per questo motivo ha un attaccamento di tipo protettivo verso soggetti riconosciuti come porti sicuri. Risulta chiaro comprendere i risultati emersi dall’indagine svolta dalla Cattolica. Per la generazione Z, le figure considerate più adatte a trattare temi di loro interesse sono gli esperti del settore (34%), quelli che rientrano nella sfera personale (33% gli amici e 23% il nucleo familiare) e figure che nascono nel mondo digitale, come influencers (17%) e bloggers (15%). Un dato molto interessante riguarda invece i giornalisti: tra le 15 figure emerse dall’indagine, i giornalisti vengono ritenuti adatti e interessanti solo per il 12% del campione, posizionandosi solo al 9 posto.
“Mi fido di te”, se hai queste caratteristiche!
Cosa spinge la generazione Z ad affidarsi ad un opinion leader? Dallo studio risaltano 5 caratteristiche fondamentali: competenza, comunicazione, rispetto, responsabilità, contribuzione/collaborazione. L’opinion leader deve avere un suo ambito di competenza, ma deve anche saper far proprio il contesto. La gen Z si aspetta che il leader d’opinione sia in grado di dare delle linee guida alla community mostrando qual è il comportamento corretto sia filtrando il flusso di informazioni, sia indirizzando verso fonti specifiche: il sapere non deve arrivare da un esperto, ma da una persona che condivide una specifica esperienza e indica dei possibili modi di agire. Questo si ricollega anche al modo di comunicare: infatti, il valore di quanto comunicato si esprime anche attraverso la modalità comunicativa. Cambiano i paradigmi della comunicazione: la generazione Z è alla ricerca di linguaggi semplici ed esaustivi, che però non seguano solamente il Waterfall model, è la generazione che ha bisogno di un confronto costante e di essere ascoltata per poter entrare in empatia con chi comunica, dando vita ad un “we sense”. Un opinion leader che non ascolta, viene visto in un’ottica egoriferita: risulta un leader d’opinione negativo poiché utilizza il proprio ‘potere’ per accrescere la propria audience, e quindi i propri interessi, e non come voce della community. Anche in questo caso viene scardinato il modello autoritario per cui l’opinion leader si posiziona al di sopra della propria audience: il rispetto ed il sentirsi tutti alla pari sono due elementi chiave nella scelta della Gen Z.
Il rispetto deve esserci anche nei confronti di eventuali “competitors”: per la generazione Z, la gentilezza è una responsabilità, non una debolezza. Responsabilità che deve essere manifestata anche in ottica di un bene comune, proprio perché con l’atteggiamento si deve influenzare un’opinione, stimolando le persone e lasciando loro un contributo concreto.
Il ruolo dell’online per una generazione cross-mediale
Dallo studio emerge come, dopo i 14 anni, i genitori vengano sostituiti da altre figure di riferimento. La varietà e l’eterogeneità delle figure e delle aree tematiche di riferimento, si omogenea quando si indaga sullo strumento utilizzato per informarsi: la generazione Z è mobile only. Il 90% del campione indentifica lo “smartphone come il device maggiormente utilizzato, ma anche come fonte di svago, di intrattenimento e di rassicurazione”. La Z è una generazione cross-mediale in grado di spaziare tra molteplici canali, che sceglie l’online per orientarsi nella vita quotidiana e l’offline per approfondire temi particolarmente delicati, come quello politico. Nell’online, i canali più utilizzati sono i motori di ricerca e i social network sites, che durante il periodo di emergenza sanitaria hanno avuto una proliferazione in termini di nuovi utilizzi (Tik Tok, Telegram e Twich, ad esempio sono diventati nuovi veicoli di informazione), in parte perché hanno risposto al forte bisogno relazionale. Il quadro che si delinea mostra una generazione che ha modificato i nuovi strumenti di informazione, ma ha stravolto anche il modo in cui informarsi: si passa da un atteggiamento passivo ad uno attivo perché se è vero che la Z è la generazione che si informa sui social, è altrettanto vero che è la generazione che si accerta della veridicità delle notizie ricevute (il 54% del campione utilizza la pratica del fact-checking).
Gli Influencer: quando diventano la strategia giusta
Quanto detto fino ad ora, ci permette di capire quanto la scelta adottata da Conte sia stata corretta da un punto di vista strategico. Infatti il Premier ha scelto il “mezzo” migliore per raggiungere una così vasta platea di giovani in così poco tempo: con uno strumento di comunicazione immediato – le Instagram Stories – il Presidente del Consiglio è riuscito a raggiungere in 24 ore gran parte dell’Italia. L’idea di certo non è nuova, infatti nel 1956 Elvis Presley si sottopose alla vaccinazione contro la poliomielite in diretta sulla Cbs per convincere gli americani che il vaccino fosse sicuro, “facendo impennare le adesioni e contribuendo alla scomparsa di questa terribile malattia che nel 1952 aveva fatto registrare negli USA 58 mila casi. Nel 1962 i casi di poliomielite, anche grazie ad Elvis Presley, erano scesi a 910”, ha commentato l’immunologo Roberto Burioni. Cosa ci insegna questo? Che la storia e i mezzi di comunicazione avanzano, ma le dinamiche umane restano sempre le stesse, quindi se si lascia libertà creativa e ci si affida a professionisti, gli influencer possono diventare degli opinion leader in grado di restituire l’immagine di una persona che ha sposato una causa e che è vicino all’audience stessa, che nella maggior parte dei casi deciderà di emularli, seguendo i loro consigli.